Fascio-comunismo, anticapitalismo e la tradizione democratica social- liberale ispirata dai massoni progressisti Rosselli, Keynes, Roosevelt, T.H. Marshall, Palme e Rawls
Sul fascio-comunismo anticapitalistico, a mo’ di introduzione, rinviamo a
https://www.youtube.com/watch?v=vz3OAaH2dGk&list=PLeBfDZsSfKqY0J2U
riservandoci in futuro ulteriori approfondimenti.
Sull’anticapitalismo, suggeriamo di riflettere intorno a queste considerazioni:
“La civiltà moderna è stata- e continua ad essere- animata dallo spirito capitalistico, ma anche dal suo acerrimo e irriducibile nemico: lo spirito anticapitalistico. […] lo spirito anticapitalistico è come l’ombra del capitalismo: si manifesta, sotto diverse sembianze, non appena sulla scena sociale appaiono gli adoratori di Mammona. D’altra parte la bancarotta planetaria del collettivismo- centrato sul piano unico di produzione e di distribuzione- costringe a giungere alla conclusione che il capitalismo non ha alternative: è l’unico modo di produzione in grado di far lievitare la ricchezza delle nazioni. E’ un gioco a somma positiva: se lo si distrugge – come hanno fatto i partiti comunisti al potere- , si condannano alla miseria più atroce le masse lavoratrici. E’ per questo che la socialdemocrazia, saggiamente, ha deciso di scendere a patti con il capitalismo, trattandolo come una pecora che deve essere tosata” (Luciano Pellicani, Anatomia dell’anticapitalismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, quarta di copertina).
E per quel che riguarda la tradizione compiutamente social-democratica e social-liberale ispirata da massoni progressisti del calibro di Carlo Rosselli, John Maynard Keynes, Franklin ed Eleanor Roosevelt, Thomas Humphrey Marshall, Olof Palme e John Rawls, si cominci di qui:
“Thomas Marshall […] partì dall’idea che la storia della civiltà occidentale poteva e doveva essere letta alla luce del concetto di cittadinanza, concepita come una realtà tridimensionale. La dimensione civile era costituita dai diritti necessari alla libertà individuale: libertà personali, di parola, di pensiero e di fede; il diritto di ottenere giustizia; il diritto di possedere cose in proprietà e di stipulare contratti validi erga omnes. La dimensione politica era costituita dal diritto dei cittadini a partecipare attivamente al processo decisionale, sia direttamente, come membri di organi investiti di autorità, che come elettori chiamati a scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. La terza dimensione della cittadinanza, quella sociale, era costituita da un minimo di benessere e di protezione materiale, senza cui le libertà sarebbero rimaste puramente formali, Cosi concepita, la cittadinanza si era trovata in guerra con la classe sociale, cioè a dire con le disuguaglianze economiche generate dal mercato capitalistico. Di qui tutta quella serie di lotte, politiche e sindacali, che, a partire dalla Rivoluzione francese, avevano riempito la storia dei popoli europei; lotte il cui obiettivo era stato l’allargamento progressivo della cittadinanza attraverso l’inclusione di strati sociali sempre più ampi nella vita della comunità. I pieni diritti di cittadinanza (civile, politica e sociale), un tempo patrimonio esclusivo di minoranze privilegiate, erano stati, step by step, estesi alla totalità del demos. Il che era avvenuto a partire dal momento in cui, dopo la conquista del suffragio universale e del diritto di sciopero, era stato creato il Welfare State, grazie al quale il gioco delle forze spontanee del mercato era stato modificato in tre direzioni: la sussistenza, la sicurezza e una certa gamma di servizi sociali, primo fra tutti l’istruzione gratuita. In tal modo, il capitalismo- questa la conclusione cui giunse Marshall- era stato ‘civilizzato’ e ‘l’uguaglianza umana fondamentale di appartenenza si era arricchita di una nuova sostanza ed era stata investita da un formidabile apparato di diritti’. Con il risultato che la socialdemocrazia, nella misura in cui era riuscita ad allargare il perimetro borghese dello Stato costituzionale universalizzando le libertà liberali, aveva portato a termine il processo di democratizzazione iniziato con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. E lo aveva fatto proprio in quanto aveva riformato il capitalismo alla luce del ‘principio di solidarietà’, del tutto estraneo alla tradizione liberista. […] Per questo, John Rawls ha sostenuto che si può propriamente parlare di società solo se ‘i membri della comunità hanno in comune un senso di giustizia, e sono vincolati dai legami della fratellanza civica”. (Luciano Pellicani, Anatomia dell’anticapitalismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, pp.293-94 e 312).
LE SORELLE E I FRATELLI DI GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO (www.grandeoriente-democratico.com )
[ Articolo del 28 settembre 2019 ]