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Grande Oriente Democratico IN DIFESA di Antonio Di Pietro

 

 

 

 

Intendiamoci, il servizio di REPORT su Antonio Di Pietro e l’Italia dei Valori andava fatto.
E forse andava fatto già da diversi anni.
Questo perché i giornalisti autentici (e gli inviati di REPORT sono fra questi) hanno il diritto-dovere di investigare e mettere in difficoltà, senza riguardi, tutti i vari rappresentanti della classe dirigente.
Semmai stupisce, con riferimento ad altre trasmissioni e testate, l’eccessiva cautela, il timore reverenziale e la subalternità psicologica con cui di solito alcuni inviati o conduttori si rapportano a determinati potenti, prendendo di mira solo quei personaggi pubblici dai quali non si aspettino né particolari favori né possibili nocumenti.
Ciò premesso, e specificando con nettezza che non sempre abbiamo condiviso l’operato di Antonio Di Pietro come magistrato o come politico, non possiamo esimerci dal DIFENDERLO pubblicamente da un attacco mediatico generalizzato che va ben oltre le legittime investigazioni di una trasmissione seria e rigorosa come REPORT.
In effetti, sentiamo di poter sottoscrivere in larghissima parte le sottostanti considerazioni di Marco Travaglio:

 

“Due o tre cose su Di Pietro, di Marco Travaglio per il Fatto Quotidiano”
Come ciclicamente gli accade, da quando è un personaggio pubblico, cioè esattamente da vent’anni, Antonio Di Pietro viene dato per morto. Politicamente, s’intende. Gli capitò nel ’94, quando dovette dimettersi da pm per i ricatti della banda B. Poi nel ‘95, quando subì sei processi a Brescia per una trentina di capi d’imputazione (sempre prosciolto). Poi nel ‘96 quando si dimise da ministro per le calunnie sull’affaire Pacini Battaglia-D’Adamo. Poi nel 2001, quando la neonata Idv fu estromessa dal centrosinistra e per qualche decimale restò fuori dal Parlamento. Poi ancora quando il figlio Cristiano finì nei guai nell’inchiesta Romeo a Napoli; quando i suoi De Gregorio, Scilipoti e Razzi passarono a miglior partito; quando alcuni ex dipietristi rancorosi lo denunciarono per presunti abusi sui rimborsi elettorali e sull’acquisto di immobili; quando una campagna di stampa insinuò chissà quale retroscena su un invito a cena con alti ufficiali dell’Arma alla presenza di Contrada; quando le presunte rivelazioni dell’ex ambasciatore americano, ovviamente morto, misero in dubbio la correttezza di Mani Pulite. Ogni volta che finiva nella polvere, Di Pietro trovava il modo di rialzarsi.    Ora siamo all’ennesimo replay, con le indagini sui suoi uomini di punta nelle regioni Lazio, Emilia, Liguria, mentre il centrosinistra lo taglia fuori un’altra volta, Grillo fa man bassa nel suo elettorato più movimentista e Report ricicla le accuse degli “ex” sui rimborsi e sulle case. Si rimetterà in piedi anche stavolta, o il vento anti-partiti che soffia impetuoso nel Paese spazzerà via anche il suo? Cominciamo da Report, programma benemerito da tutti apprezzato: domenica sera Di Pietro è apparso in difficoltà, davanti ai microfoni dell’inviata di Milena Gabanelli. Ma in difficoltà perché? Per scarsa abilità dialettica o perché avesse qualcosa da nascondere, magari di inedito e inconfessabile? A leggere (per noi, rileggere) le carte che l’altroieri ha messo a disposizione sul suo sito, si direbbe di no: decine di sentenze, penali e civili, hanno accertato che non un euro di finanziamento pubblico è mai entrato nelle tasche di Di Pietro o della sua famiglia. E nemmeno nelle case, che non sono le 56 che qualche testimone farlocco o vendicativo, già smentito dai giudici, ha voluto accreditare: oggi sono 7 o 8 fra la famiglia Di Pietro, la famiglia della moglie e i due figli. Quanto alla donazione Borletti, risale al 1995, quando Di Pietro era ancora magistrato in aspettativa e imputato a Brescia: fu un lascito personale a un personaggio che la nobildonna voleva sostenere nella speranza di un suo impegno in politica, non certo un finanziamento a un partito che ancora non esisteva (sarebbe nato tre anni dopo e si sarebbe presentato alle elezioni sei anni dopo, nel 2001, e l’ex pm lo registrò regolarmente alla Camera tra i suoi introiti).    Il resto è noto e arcinoto: all’inizio l’Italia dei Valori era un piccolo movimento “personale”, tutto incentrato sulla figura del suo leader, che lo gestiva con un’associazione omonima insieme a persone di sua strettissima fiducia. In un secondo momento cambiò lo statuto per dargli una gestione più collegiale. Decine di giudici hanno già accertato che fu tutto regolare, fatta salva qualche caduta di stile familistica e qualche commistione fra l’entourage del leader e il movimento. Di Pietro potrebbe anche fermarsi qui: se, in vent’anni di processi, spiate dei servizi segreti al soldo di chi sappiamo, campagne calunniose orchestrate da chi sappiamo che l’hanno vivisezionato e passato mille volte ai raggi X, riciccia fuori sempre la solita minestra, già giudicata infondata e diffamatoria da fior di sentenze, vuol dire che di errori ne ha commessi, ma tutti emendabili, perché il saldo finale rimane positivo.
Senza l’Idv non avremmo votato i referendum su nucleare e impunità; i girotondi e i movimenti di società civile non avrebbero avuto sponde nel Palazzo; in Parlamento sarebbe mancata qualunque opposizione all’indulto, agl’inciuci bicamerali e post-bicamerali, alle leggi vergogna di B. e anche a qualcuna di Monti; e certe Procure, come quella di Palermo impegnata nel processo sulla trattativa, sarebbero rimaste sole, o ancor più sole. Senza contare che Di Pietro non ha mai lottizzato la Rai e le Authority.    É vero, ha selezionato molto male una parte della sua classe dirigente (l’abbiamo sempre denunciato). Ma quando è finito sotto inchiesta si è sempre dimesso e, quando nei guai giudiziari è finito qualcuno dei suoi, l’ha cacciato. Ora la sorte dell’Idv, fra l’estinzione e il rilancio, è soltanto nelle sue mani. E non dipende dal numero di case di proprietà, ma da quel che farà di qui alle elezioni. Siccome è ormai scontato che si voterà col Porcellum, dunque ancora una volta i segretari di partito nomineranno i propri parlamentari, apra subito i gazebo per le primarie non sulla leadership, ma sui candidati. E nomini un comitato di garanti con De Magistris, Li Gotti, Palomba, Pardi e altri esponenti dell’Idv o indipendenti al di sopra di ogni sospetto. Qualche errore sarà sempre possibile, ma almeno potrà dire di aver fatto tutto il possibile per sbarrare la strada a nuovi Scilipoti, Razzi e Maruccio. Nel prossimo Parlamento, verosimilmente ingovernabile e dunque felicemente costretto all’inciucione sul Monti-bis, ci sarà un gran bisogno di oppositori seri, soprattutto sul tema della legalità. Se saranno soltanto i ragazzi di Grillo o anche gli uomini dell’Idv, dipende solo da lui.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano del 31 ottobre 2012)

 

E per quel che concerne l’autodifesa di Antonio Di Pietro, ci è sembrato davvero puntuale ed esauriente quanto ne è apparso, con ricchezza documentaria, sul sito dell’Italia dei Valori (www.italiadeivalori.it) e su quello dello stesso suo leader (www.antoniodipietro.it), cui rinviamo per accedere ai singoli contenuti qui di seguito elencati entro un rettangolo/logo riassuntivo dal titolo “Di Pietro, Calunnie, solo calunnie”.

Calunnie, solo calunnie

 

Riteniamo più che doveroso che questa sia l’occasione buona per rendere più collegiale, pluralistica e massimamente trasparente la gestione dell’Italia dei Valori – accogliendo proprio le suggestioni che in queste ore ha offerto Massimo Donadi – ma si smetta di maramaldeggiare indegnamente Antonio Di Pietro che, fra luci e ombre (come ogni essere umano) sta comunque offrendo una coraggiosa resistenza all’appiattimento conformistico di buona parte del Parlamento italiano verso i diktat di quegli oligarchi e tecnocrati di cui Mario Monti è il massimo proconsole italiano e Mario Draghi il più eminente rappresentante europeo.
E proprio su questo tema bisogna riflettere.
Come mai, prima Nichi Vendola (assolto in queste ore da ogni addebito giudiziario per una vicenda surreale), poi Pierluigi Bersani (in questi giorni oggetto di reiterate intimidazioni malcelate sui media), infine Antonio Di Pietro, sono stati e sono oggetto di cotanta attenzione mediatico-giudiziaria proprio nel momento in cui gli uni (Vendola e Di Pietro) si schierano nettamente contro l’ “Agenda Monti” e l’altro (Bersani) ne propone un decisivo superamento almeno a partire dalla prossima legislatura?
La risposta è dentro di voi, direbbe il Fratello Mario Monti.
Ma Grande Oriente Democratico, da una prospettiva meta-politica e super-partes, senza per questo inclinare - in quanto Movimento massonico d’opinione- verso questo o quel politico, verso questo o quel partito o verso alcuna coalizione (mentre è lecito che ciò sia fatto dalle cittadine e dai cittadini di Democrazia Radical Popolare, www.democraziaradicalpopolare.it), intende DIFENDERE il diritto di Antonio Di Pietro, di Nichi Vendola e di Pierluigi Bersani a poter avversare le politiche dell’ “Agenda Monti”, senza perciò essere oggetto di subdoli e strumentali attacchi da parte di manutengoli diretti e indiretti dello stesso Fratello Monti o di quei poteri che ne costituiscono la guardia pretoriana.
Perché questi poteri, checché ne pensino coloro che il mondo globalizzato a caso pongono, operano ed esistono a prescindere dalla pigrizia mentale di chi non ne sappia/voglia ricostruire le trame sempre meno occulte, beffandosi per di più di coloro che riducono (paranoicamente ed utilmente) a complotto unidirezionale progetti che sono invece plurali e differenziati, ma non per questo meno incisivi sullo scenario politico, sociale ed economico contemporaneo.

I FRATELLI DI GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO

[ Articolo del 29 ottobre –1 novembre 2012 ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per comunicazioni, scrivete a: info@grandeoriente-democratico.com