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Lo squarcio del cielo di carta (di Valeria Mauro)

 

 

 

Lo squarcio del cielo di carta come rottura dell’incanto mediatico, evasione dagli effetti delle convinzioni e del “bipensiero”.

Pubblichiamo volentieri il seguente articolo di Valeria Mauro:

“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza: gli apodittici proclami del Ministero della Verità orwelliano, che si configurano come matrici di un modello di “bipensiero”(1), si radicano senza sforzo nelle menti dei personaggi del romanzo, i cui bias cognitivi si moltiplicano come buchi nella groviera.

Nel 2020, settantadue anni dopo la pubblicazione del romanzo ambientato in un tempo risalente a trentasei anni prima dello stesso 2020, i moniti di 1984 vanno soltanto aggiornati e declinati secondo la chiave del paradigma sanitario, tanto potente da tenere in ostaggio, al tempo stesso: libertà costituzionali e diritti naturali dell’uomo; funzioni biologiche vitali come l’atto della respirazione e bisogni affettivi e relazionali come effusioni e dialoghi; capacità di svolgere semplici ragionamenti deduttivi e di osservare criticamente i dati e la realtà.

Avviene infatti nel 2020 che, riesumata e diffusa la nozione di paziente asintomatico altrimenti detto sano -e comunque non affetto da patimento e dolore, come invece l’etimologia del lemma paziente indicherebbe- lo stato di “salute è malattia” nel conteggio dei “casi”; conseguentemente, gli organi deputati alla diffusione delle notizie si fanno amplificatori di questo postulato, fantasiosamente antitetico alle galileiane sensate esperienze e matematiche dimostrazioni fondamento della scienza moderna e, devotamente ascoltati da una cittadinanza fattasi definitivamente pubblico di spettatori, ci dimostrano che “la menzogna è verità”. Il terzo monito, a questo punto, si realizza senza sforzo: sequestrate le funzioni raziocinanti della mente e le inclinazioni intuitive e umanamente disponibili del cuore, gli spettatori-cittadini sono ormai persuasi che isolamento sociale, abluzioni in liquidi igienizzanti e inibizione della parola e del respiro ci salveranno dalla catastrofe; soppresse le elementari nozioni di biologia molecolare e di virologia, sostituiti nella propaganda a reti unificate i pareri di medici pluripremiati e stimati con le comparsate sparse ma onnipresenti di zanzarologi, di profeti di sventure e disgrazie variamente annunciate e addobbate, di testimoni di miracolose guarigioni anche da stati di salute pregressi, non resta spazio per il torbido dubbio del cospirazionista né per il candido interrogativo del filosofo, perché soltanto chi accetta e si adegua all’autoproclamatasi verità ha speranza di salvarsi, mentre chi si sottrae alla narrazione dominante si profila presto come potenziale untore (con buona pace di Alessandro Manzoni e dei suoi decenni spesi a scrivere I promessi sposi e La storia della colonna infame): per questi motivi, allora, “la paura è salvezza” e soltanto “l’obbedienza è civiltà”.

Eppure i segnali ci sono e, anzi, abbondano: gli stacchi di montaggio che aprono squarci nella percezione delle cose si mostrano a velocità accelerate, sebbene si susseguano di pari passo con il ciclo continuo di informazioni bombardate da ogni canale disponibile. Per esempio, e in ordine sparso: se da un lato viene compressa la libertà di spostarsi e di circolare liberamente, è altresì permesso farlo per ragioni dettate da necessità; ancora, cosa pensare di quel servizio televisivo in cui il paziente ospedalizzato è circondato da medici e infermieri integralmente isolati da tute e dispositivi di protezione, ma il suo vicino di letto gigioneggia per il suo minuto di celebrità, sorridendo di gusto alla telecamere a volto e braccia scoperte? Eppure, se i dispositivi di protezione individuale servono a proteggersi dal pericolo, perché possono essere rimossi per fumare, mangiare, bere il caffè ma non per respirare?

Se per alcuni liberi pensatori lo stato pandemico del globo sembra perciò configurarsi come realizzazione nella materia, nello spazio e nel tempo del progetto svelatoci da quello straordinario libero muratore, affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”, che fu George Orwell(2), è allora forse probabile che di questo progetto sia la sua stessa realizzazione a rappresentarne l’ultimo atto, il tratto finale di una parabola avviata un secolo fa e che oggi acquisisce una straordinaria e inedita concretezza, ma che, esattamente per via di questo suo farsi realtà, mostra tutti i suoi tratti interrotti, i lembi che non collimano, gli errori, come pure è stato ampiamente evidenziato in alcuni recentissimi studi (3).

In effetti, l’immagine di un allestimento perfettamente orchestrato ma plausibilmente “sbilenco” evoca Luigi Pirandello, secondo il quale la finzione della messinscena precipita e si dissolve grazie a quel buco nel cielo di carta nel teatrino delle marionette che Anselmo Paleari annuncia a Mattia Pascal, concludendo che “Tutta la differenza fra la tragedia antica e moderna consiste in ciò: in un buco nel cielo di carta”(4); allora -potremmo proseguire sulla strada aperta da Pirandello- forse la differenza fra la tragedia moderna e quella contemporanea risiede nella incapacità degli uomini-spettatori di scorgere quegli squarci nel cielo di cartapesta della narrazione mediatica e nell’infondere -tramite questa stessa incapacità di vedere- una realtà ontologicamente concreta a quella mitopoiesi, ingegneristicamente orchestrata dalle tattiche di manipolazione della massa e del consenso(5). Perché l’infaticabile corsa a proteggersi dettata dal timor panico e dall’ascolto devoto di dati e notizie per aggiornare la mappa dei variopinti divieti e permessi non contempla la possibilità della sosta: l’immagine ricorda la storia del contadino che, pur consapevole che il secchio con il quale voleva innaffiare il suo campo era un colabrodo, nondimeno correva forsennatamente per pompare acqua dal pozzo anziché fermarsi per riparare il suo recipiente (6).

Tuttavia, forse è soltanto ascoltando i segnali percepiti dalle dissonanze cognitive –di impatto lieve o tragico che siano, seguendo la via che essi ci indicano e trovando la volontà di sottrarre se stessi all’errabondo pellegrinaggio da una “fonte” all’altra che si può mettere a fuoco quel buco nel cielo di carta, avvicinarvisi e realizzare che tutto il cielo altro non è che una bugia di cartapesta, come un titanico Truman volle mostrarci nella stupenda sequenza finale del celebre lungometraggio(7).

Parallelamente, seppure per altre vie, la ricomposizione della verità frammentata lungo i solchi delle dissonanti sentenze orwelliane può trovare accoglienza nel ritorno alla tautologia, nella profonda coscienza che l’essere è ciò che è, e non altro: la verità è la verità, la vita è la vita, la libertà è la libertà… “

Note bibliografiche al testo:

(1) George Orwell, 1984, 1949

(2) Gioele Magaldi, Massoni, Milano 2014, Chiarelettere

(3) Nicola Bizzi, Matteo Martini, a cura di, Operazione corona-Colpo di stato globale, 2020, Edizioni Aurora Boreale

(4) Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, 1904

(5) Gianluca Magi, Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura, 2021, Piano B

(6) Gianluca Magi, Gli effetti delle convinzioni, ne Il tesoro nascosto, 2017, Sperling&Kupfer

(7) Peter Weir, The Truman show, 1998

(Valeria Mauro)

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[ Articolo del 25 marzo 2021 ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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