“Siamo uomini o caporali?” by B.M.
“Io ho un cervello” – “Io sono un cervello”. Era questa l’alternativa con la quale Daniel Dennett intendeva sottolineare lo specifico dell’esser uomo, in un libro dal titolo accattivante, L’Io della mente, comparso in Italia vent’anni fa. “Avere un cervello” significa, solo, possedere un organo più sofisticato degli altri, ma uno tra gli altri. “Essere un cervello” sottolinea invece l’origine della soggettività: il pensiero, la ragione e la loro libertà. Cartesio.
Leonardo Sciascia affida la medesima differenza a quella sequenza, rimasta famosa, pronunciata da don Mariano ne Il giorno della civetta: “uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà”.
Nel frattempo la robotica ha fatto passi da gigante, fino a produrre macchine autoprogrammantesi, capaci di “pensare”, sulla base di algoritmi idonei a fronteggiare diverse variabili, anche inaspettate. E, tuttavia, i robot hanno un cervello, ma non sono un cervello. Assomigliano agli uomini, ma non sono uomini.
Questi esempi trasmettono, con diversi linguaggi, cosa debba intendersi per esser uomo, nel senso comune di individuo meritevole di rispetto umano e sociale, perché dotato di libertà e dignità. La libertà riguarda l’indipendenza del pensiero, la dignità l’azione fedele ad un’idea o ad una promessa. L’una e l’altra spesso comportano costi umani, per i quali non basta avere un cervello, cioè un apparato neuronale che risponde a stimolazioni esterne. Occorre essere un cervello, cioè essere un uomo.
Quanto ha ostentato nei giorni scorsi il gruppo dirigente del PDL appartiene a quella specie di individui che “hanno un cervello”, che si situano nella quaterna sciasciana dopo il primo termine e che si apparentano alla robotica antropomorficamente più evoluta.
Ciò che dico non ha la discrezionalità di un giudizio del tutto personale. E’, invece, una valutazione di gesti e azioni in base a criteri che hanno una loro solidità e tradizione, radicate sia nel pensiero colto che in quello delle persone comuni.
Qui non si tratta di servi “sciocchi”: magari! Qui si tratta di servi “cinici”. Vi è differenza: lo sciocco ha l’attenuante dell’ignoranza; il cinico, invece, l’aggravante della conoscenza. In ogni caso: servi.
“Servi” sono, infatti, coloro che prima strombazzano autonomia di decisione e, poi, al mero schioccar di dita del padrone, si rimettono in fila, allineati e coperti. E così coperti, da giustificare, con linguaggio calcistico, quello stesso schioccar di dita.
“Cinici”. Basta ricordare le parole con le quali Cicchitto ha giustificato alla Camera lo strappo del partito: “la politica del governo Monti è contraria agli interessi della nostra specifica base elettorale”.
Probabilmente Cicchitto dimenticava che il deputato è rappresentante della Nazione e perciò vota senza vincolo di mandato; ma di fronte agli strattoni inferti per anni alla Costituzione sarebbe chiedere troppo. Il punto è un altro: il non rispetto della Costituzione è questione giuridica, il cinismo di quelle parole è questione morale, che sugella, anche al di là di eventuali nuove giravolte, la personalità di un gruppo dirigente.
Il PDL, da un lato, infatti, dichiarava il distacco programmatico dal Governo, sicuro però, dall’altro, della tenuta degli altri due partiti, come se questi ultimi condividessero in tutto e per tutto la linea Monti. E’ noto come non sia così per il PD; eppure, per “onestà” di fronte al Paese e a se stesso, ne aveva sempre votato le risoluzioni per un fine superiore: la rispettabilità dell’Italia in Europa e nel Mondo. In altro momento e con una maggioranza politica chiara si sarebbe parlato del rapporto problematico tra scelte “macroeconomiche” e conseguenze “microeconomiche”.
Giocando questa carta, il PDL poteva vantarsi di fronte ai propri elettori, fedeli e potenziali, di aver preso le distanze dal Governo, senza però aprire formalmente una crisi, della quale avrebbe dovuto rispondere di fronte all’opinione pubblica. Insomma lo avrebbe lasciato galleggiare, mortificandone il lavoro di tanti mesi e riuscendo soprattutto a mettere un freno a leggi scomode, che il Governo aveva in animo di far approvare.
Miele per i lestofanti, indigeribile per Monti. La sua risposta ha messo in chiaro quanto questo fosse un gioco, oltre che cinico, sporco. Sporco, perché per soddisfare l’istanza dominativo-narcisistica di un uomo, un intero gruppo dirigente, ha strumentalizzato la lealtà altrui, mettendo consapevolmente a repentaglio la credibilità all’estero della politica italiana. L’obiettivo è spregiudicato: intercettare sia la “pancia” che anima il populismo grillino, sia la “testa” a-morale, per dirla con Ravasi, che sostiene i fini affaristici di molti di coloro che in tanti anni di berlusconismo hanno prosperato.
A un gruppo di tal fatta non importa un bel niente che, poi, gli interessi sul debito pubblico li paghino tutti e per anni, salvo gli evasori o gli esportatori di danaro all’estero. Una pantomima partitica, insomma, avventuristica e servile, a spese di quella parte del Paese, che, con fatica psicologica ed economica, è chiamata a pagare i costi di una rinnovata serietà.
B. M.